Upon a Burning Body – Southern Hostility (2019)

Certi momenti della settimana mi prendono male e tiro delle somme, tutto sommato provvisorie e senza un necessario riscontro nella realtà quotidiana. Sono degli appunti mentali, cose da fare, sentire o valutare. Il normale, direi. 
Quando salgo sul patibolo e incomincio a ragionare sulla prossima recensione, che sia un omaggio a dischi del passato o qualcosa di nuovo, mi chiedo cosa trova, nel 2020, un nuovo adepto del metallo. Sapendo con mestizia che molti dei generi che mi hanno spinto nelle braccia dell’heavy metal sono morti, o sono entrati in precoce cancrena, prima del 2000, con solo pochissime eccezioni di band storiche che continuano a tirar dritto senza sentire il peso degli anni e della voglia di monetizzare, un giovane metallaro alle prime armi cosa trova nel panorama? 
Detto anche che i generi più gettonabili per un novizio, come il metalcore o derive ‘core, sono in uno stadio strano visto che affondano le loro radici in un mondo quasi “medievale” per chi adesso entra nella pubertà o nel metal, alla fine cosa resta di moderno? 
Certo, cose come il djent o altre contaminazioni più o meno estreme stanno incominciando ad allargare i confini dell’heavy, con tanto di partenza verso territori post-, uno dei possibili approdi al metal è quella del revival. O, meglio, della rivisitazione. Perché parlare di Pantera, che erano all’apice nel 1994, ad uno che compie adesso 15 anni e approccia il metal è fargli un favore ma anche renderlo perplesso. Meno se incominciamo a citare i Lamb of God, attivi ancora adesso e sicuramente più conosciuti, o le nuove leve del metalcore. 
Forse per questo è necessario trovare una band come gli Upon a Burning Body. Non sono niente di speciale, sia chiaro, però mischiano tutte e tre le componenti sopra descritte: un terzo Pantera, un terzo Lamb of God e poi ecco il metalcore. E così gli UaBB distribuiscono anche la tracklist di Southern Hostility.
Se il confine fra i primi due è meno visibile, anche perché fino a Reinventing Hatred i Upon a Burning Body pescano senza scrupoli negli insegnamenti delle due band citate, a partire dalla settima traccia i texani devono aver finito i riff nel cassetto e disfano il mood con ampie palate di metalcore.
E, sarò forse vecchio e rincoglionito, ma non ne capisco il motivo. 
Perché se vuoi essere cattivo e brutto, tira dritto con il fare redneck e almeno spezza il collo degli ascoltatori senza pietà. Rendimi felice con badilate di groove e violenza, non cercare a tutti i costi di farti piacere da tutti e tutte. Prendi il coraggio, e anche se mi rielabori senza troppa originalità il sound che fu di Pantera, comunque senza il tiro a cazzoduro di Dimebag&Co, e poi dei Lamb of God, almeno mi dimostri che non è solo facciata quella mi mostri.
Che sotto a tutto hai almeno in parte un paio di cojones.  
Posso accettare che mi sporchi tutto con le derive ‘core e mi fai il breakdown come su King of Diamonds o semplicemente rendi il tuo songwriting semplice e accessibile come in The Champ is Coming e Burn. Non me la prendo, perché se devi rileggere un genere e adattarlo al 2020, qualcosa devi cambiarlo. 
Se no mi ascolto direttamente Vulgar Display of Power, che il groove te lo sbatte in faccia meglio di molti dischi venuti dopo.
Quello che non sopporto è l’occhiolino strizzato a voler stare senza pudore in due scarpe diverse. E questo i Upon a Burning Body lo fanno nella tripletta finale, dove escono tutti i crismi del metalcore moderno. E niente, non sono da lapidare perché suonano questo genere, in fin dei conti ha un mercato e gente che lo ascolta, ma questa svolta non ha coerenza con quanto prodotto per due terzi del disco. 
E questa cosa non la sopporto, perché è come fare una pizza con lievito madre, con ingredienti DOC e DOP e poi, alla fine, ci metti sopra il kiwi e la simmenthal. Cazzo, no!
E lo dico per rispetto per chi ascolta sia il groove metal moderno, sia il metalcore/’core in generale. In un disco ci vuole coerenza, se no finisce per essere un’accozzaglia di cose messe insieme tanto per…
Per due terzi del disco, gli Upon a Burning Body giocano duro, poi si lasciano andare e abbracciano senza rimpianti il trend e la grande tetta del mercato commerciale.
E penso che questo riassuma un po’ tutto di Southern Hostility.
[Zeus]