Wormwood – The Star (2024)

Aspettavo il nuovo disco dei Wormwood con discreta ansia. Nattervet era ottimo, Arkivet decisamente buono anche se lo sto ascoltando meno del suo predecessore e quindi l’idea che potessero fallire miseramente non mi è mai entrata nel cervello. Vero? Vero?! In realtà i primi ascolti di The Star mi hanno deluso profondamente. L’ho trovato scritto e suonato benissimo, con tutto l’armamentario classico dei Wormwood: black metal melodico, incursioni in territori più rock e poi il nume tutelare dato dalle languide partiture pinkfloydiane. Però era sterile. Non incideva nella carne, come dovrebbe essere un disco facente parte di un trittico di LP dedicati ad una specie di apocalisse/estinzione dell’umanità.
Parla di distruzione con il vestito della festa.
Su The Star sono combattuto, senza ombra di dubbio. Il disco regge bene, ripronendo molti elementi già trovati anche su Arkivet e l’utilizzo delle vocals femminili e certe soluzioni di tastiera danno al quarto disco un respiro più morbido. Una sorta di vellutato contraltare al black metal melodico che è la base della musica dei Wormwood (sentite Suffer Existence, che viaggia su doppia cassa, melodie brillanti, screaming, clean e anche la mezza dubbiosa scelta di inserire il violino di Martin Björklund). A volte questo contrasto funziona, a volte un po’ meno, ma di certo rende la musica degli svedesi meno prevedibile di quello che si vorrebbe pensare. O, forse, è proprio il segno distintivo di uno script già ben formato e suonato a ripetizione.
Letta così, la recensione sembrerebbe una bocciatura.
Invece mi son preso ancora del tempo ad ascoltare The Star. L’ho lasciato da parte un po’, rinfrescato le orecchie con qualche altra cosetta, e poi ci sono ritornato sopra con un pizzico di testardaggine. Ad un secondo ascolto, forse meno ossessivo alla ricerca di un nuovo Nattervet, The Star si è rivelato un disco discreto. Lontano dalla qualità assoluta del CD del 2019 e dell’esordio, forse più vicino ad Arkivet, seppur quest’ultimo sia uno scalino sopra. Sembra quasi che i Wormwood si siano messi d’impegno nel cercare di dare un seguito coerente, soprattutto musicalmente, a quanto fatto prima, ma abbiano lasciato un po’ troppo da parte le emozioni. Cosa che non dovrebbe mancare in un LP come questo, perchè le emozioni donano un colore più profondo e una maggiore resistenza all’usura della memoria e del tempo che passa. La classe è indubbia, ce ne fossero di band che riescono a maneggiare così tanti registri come fanno i Wormwood senza lasciare sul campo porcherie o cadaveri di canzoni. Sentitevi Ro, 10 minuti di epica e crescendo, che parte come simil-traditional folkloristico e poi innesta una marcia sempre più alta, in un crescendo di strati e momenti. E Ro è forse la cartina tornasole di tutto il disco, un brano con cui son partito scettico fra minutaggio e scelte musicali, e poi invece mi son accorto che i 10 minuti abbondanti passano senza colpo ferire. Le problematiche di lunghezza o di eventuali cali di tensione sono concentrati in altri pezzi.
In definitiva The Star è un disco tipico dei Wormwood e questa affermazione è una lama a doppio taglio. Un po’ troppo vicino alla loro idea di suono, troppo poco innovativo per una band per cui l’attitudine a disegnare il confine un po’ più avanti era normale. Ma è The Star è bello, profondo e ad ogni ascolto ci si può concentrare su una singola parte o un dettaglio che, ad un primo ascolto, era di certo sfuggito.
Li attendo al prossimo disco, non deluderà anche se spero che ci sia più rischio.
[Zeus]

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