Cannibal Corpse – Bloodthirst (1999)

Oggi stavo mangiando un pezzo di pizza, unta come il culo di un babbuino immerso nel catrame, da un kebabbaro sotto copertura. Questo perché pensavo di aver finalmente trovato un kebabbaro lercio e volgare, in realtà era una succursale di un baretto usurato che demandava i compiti di farcitura delle pizze e distruzione dell’intestino a questi intrepidi domatori del carboidrato pazzo.
Mentre mi leccavo le dita, godendo solo a metà perché il pensiero di prendermi il vaiolo mentre toccavo con le labbra le dita coperte di oliazza rossastra mi faceva soppesare la mia voglia di vivere a lungo, ho incominciato a spiare la fauna locale.
Il 99% delle persone aveva un’età media da scuola superiore, quindi descrivibile come un milkshake di sudore&ormoni, casino, cicche fumate con la bocca a culo di gallina e chiacchiericcio generico misto trilli da whatsapp. Il restante 1% degli avventori era composto da poveri lavoratori (come il sottoscritto, fuggito dalla glaciale trireme romana dove è costretto a vogare per tenere lo sfavillante stile di vita che lo porta a scegliere la morte certa offerta dal malefico kebabbaro al posto del ristorante borghese con un piatto di pasta alla “modica” cifra di 9€) che, senza le luci al neon dell’ufficio, hanno lo sguardo perso e disilluso di chi, ormai, non ha più niente da dare alla giornata.
Questo è uno dei motivi principali per cui evito di farmi selfie a mezzogiorno, sarei uno spot per il suicido assistito. Vorrei avvertire che non mi faccio neanche selfie di mattina: se no la buca delle lettere si intasa di intimo femminile. La dura vita del recensore. 
Mentre mi ingurgitavo pezzi di pizza, olio di motore e evidenti pezzi di cadavere di studenti che non avevano pagato, mi sono trovato a pensare che anche i Cannibal Corpse nel 1999 avevano necessità assoluta di portare a termine un discorso iniziato con Vile. Non che abbiano finito, ma dopo aver esordito con un disco imponente come quello, si sono trovati a piazzarli un sequel come Gallery Of Suicide che brutto non è, ma si trova diversi gradini sotto al predecessore – e questo pur avendo una tripletta iniziale da tirarti via il tartaro dai denti. Con Bloodthirst la band americana non arriva a produrre brani così “grossi” come I WIll Kill You, ma calibra meglio la scaletta. Inizia bene con Pounded Into Dust, poi stabilizza il tiro e si assesta su una qualità media maggiore del precedente disco in studio, macinando riff (notevolissimo il lavoro del duo O’Brien – Owen) e ritmiche con più potenza (forse i 10 minuti in meno hanno giocato un ruolo importante nel ridurre la sensazione di filler) e andando a decrescere unicamente verso il finale, in cui Webster&Co. piazzano i brani forse meno ricordabili del lotto (Condemned to Agony). Bloodthirst si difende meglio del precedente  disco sul lungo periodo. La velocità d’esecuzione è abbastanza elevata, ma è il groove che ne esce ad essere l’elemento portante e Corpsegrinder usa la voce in maniera eccellente su ogni traccia. Certo, il range vocale dell’uomo-senza-collo è maggiore del suo precedessore, ma su Bloodthirst c’è un fattore che bisogna riconoscerli: sentite come il growl, e gli occasionali scream, fomentano il massiccio lavoro ritmico della band. 
Dove Bloodthrist vince a mani basse rispetto a Gallery Of Suicide è la qualità di registrazione: qua c’è chiarezza e un sound potente e bilanciato, mentre sul precedente disco il suono ne usciva un po’ troppo melmoso. 
Ho lasciato il turpe kebabbaro pensando ai Cannibal Corpse e rivolgendo lo sguardo alla cucina a vista: quella “novità” dovrebbe essere lasciata unicamente ai giapponesi col sushi (quando li trovi, i giapponesi, non il sushi), non messa in mano a turchi che passano a fil di scimitarra qualunque cosa. La cucina, per definizione, deve essere un posto segreto, dove le efferate azioni compiute dai cuochi, o presunti tali, rimangano nascoste alla vista del divoratore di kebab. Un po’ come la copertina di Bloodthirst che, per una volta, avrebbe beneficiato della “cover di riserva”. Parere mio, ma cristo se è brutta. 
[Zeus]