1349 – Liberation (2003)

Il 2003 segna il punto di partenza della carriera dei 1349, carriera che dura ancora oggi (ultimo disco, The Infernal Pathway del 2019) e che per molti è legata a doppio filo alla presenza di Frost alla batteria. La stampa non si nasconde e spesso inneggia alle prove di Ravn&Co., valutandoli in maniera estremamente positiva e ignorando alla grande che questa formazione, senza il batterista, avrebbe una eco molto diversa. E così inizia la mia recensione, che sembra schizofrenica vistro che a me, il demo Chaos Preferred era anche piaciuto. Il mio problema con i 1349 è sorto dopo e proprio con Liberation, esordio sulla lunga distanza a cinque anni dalla fondazione della band.
Ritengo tutto l’hype generato dalla band norvegese qualcosa di “costruito sapientemente e/o artificialmente”, visto che dentro Liberation, ma anche nelle prove successive, la qualità delle canzoni non è tale da spellarsi le mani. Quando va di lusso si arriva a toccare il discreto, ma è in generale un responso molto modesto.
Partiamo da un elemento di disturbo notevole, il mixing. Non ci vuole un genio del crimine per capire che è semplicemente osceno, e non sto parlando del tipico sound sporco norvegese. Su Liberation la batteria arriva a coprire spesso e volentieri il lavoro delle chitarre e quel generale senso di sporcizia del sound, più che grondare feeling da scantinato, di marciume e fredda iconoclastia, sembra essere quasi posticcio e creato ad hoc per poter essere considerati, fuori tempo massimo, della seconda wave e quindi trve norwegian black metal. Vi giuro, ho riascoltato questo disco molte volte, e adesso con molti più anni sulla schiena, ma questa strana sensazione non mi ha abbandonato neanche per un secondo, tanrto da farmi storcere più e più volte il naso e lasciandomi freddo anche nel tentare la classica rivalutazione “postuma” guadagnata con l’invecchiamento del disco e la svolta verso il grigio dei miei capelli.
Troppo poco, in Liberation, funziona in maniera tale da farti esclamare di gioia. Frost è bravo, sia chiaro, tira scudisciate e bastonate a destra e manca, ma se il suo lavoro sovrasta quello dei due chitarristi, Archaon e Tjalve, allora qualche problema di fondo c’è, o almeno così la vedo io. E non sto dicendo che i due non si sbattano o che producano un lavoro osceno o senza senso, ma i loro riff sono standard black metal e, per di più, azzoppati dalla produzione assassina e da un generale senso di meh che li circonda. I 1349 hanno guizzi, i musicisti sanno suonare, ma sono fuochi fatui che durano troppo poco e/o che non hanno costanza all’interno del brano.
Per una arrembante Riders of the Apocalypse, il resto pascola in un sensazione di mediocrità irritante. O, forse per meglio dire, una sensazione di scolasticità troppo esplicità. Riffing, voce, produzione ecc. è esattamente quello che mi aspetto e che, in definitiva, mi lascia insoddisfatto perchè non è nè granchè, nè onesto. Eliminando dal conteggio Deathmarch, strumentale del tutto inutile, i 30 minuti abbondanti di Liberation non fanno bellissima figura e, ahimè, non sono neanche invecchiati bene con il tempo.
[Zeus]