Lamb of God – As the Palaces Burn (2003)

Lo ammetto senza problemi, ho un grosso problema con i Lamb of God. Li ritengo immotivatamente super-pubblicizzati, super-pompati e iper-vitaminizzati… mentre quello che mi ritrovo fra le mani è, quando va bene, poco più di un ottimo batterista e qualche riff rubato in casa Pantera o sponda Svezia in casa At the Gates. Lo so, è una campana che sentite spesso questa. E As the Palaces Burn non è l’eccezione, ma la regola. A tre anni da New American Gospel, gli ammeregani ritornano a far vibrare dentiere e maroni con una seconda prova per Prosthetic Records, sarà l’ultima volta nella culla dell’underground visto che a partire da Ashes of the Wake del 2004 faranno parte della scuderia Epic Records. As The Palaces Burn è semplicemente noioso con quella sua necessità di mostrare inutilmente l’eccesso di testosterone, i riff chuga-chuga che non portano a niente, le linee vocali senza vero colpo da maestro e chi più ne ha più ne metta. Ho riascoltato il disco in macchina, negli ultimi tempi mi son sparato chilometri su chilometri sulle autostrade austriache e quale momento è migliore per “recensire”, se non le ore in solitario in auto? Io mi ci son messo d’impegno, risentendo il secondo Lp di Blythe&Co. con la coscienza (quasi) linda da eventuali preconcetti. Glielo dovevo, in fin dei conti sono una realtà riconosciuta in America e hanno appeal anche nel Vecchio Continente. Quindi parto con Ruin e giù scendendo con la title-track e via per i restanti 8 brani, 37 minuti abbondanti di musica che verrà definita NWOAHM. O suonano groove metal? Comunque, 10 brani e non uno che mi sia rimasto in testa. Non dico mezza scaletta, uno! I riff son spesso e volentieri ignobili, puntano sulla ritmica, il sopracitato chuga-chuga, ma il duo Morton-Adler ha pochissime idee su come creare un riff che ti piglia a scappellotti in materia di groove. Nella sola Walk ci sono più idee che in tutto As the Palaces Burn, e non sto esagerando. Ma forse non lo capisco il concetto che si nasconde dietro il disco, forse il grattare costante non è altro che materia per far ballare quattro scalmanati anabolizzati di americani e farli sentire meglio. Che è concetto giusto, ma il risultato è comunque deludente. Tolti i chitarristi e lasciando in sospsso la prova dietro il microfono di Blythe, anch’essa non proprio eccezionale, il vero astro dei Lamb of God é Chris Adler dietro le pelli. Ecco, almeno la batteria è un punto positivo di As the Palaces Burn, il resto son lacrime amare. Piacerà di sicuro, ci sarà chi mi dirà che non capisco un cazzo di musica, ma per me questo disco non vale il tempo che gli dedicate. Possiamo raccontarci tante storie, ma non che i Lamb of God siano un gruppo così enorme quanto la stampa vuole farci credere. [Zeus]