Lynyrd Skynyrd – Vicious Cycles (2003)

Ho difficoltà a parlare di questo album, un po’ perchè sono rimasto scottato dal successivo DVD live (brutto e con l’atroce sospetto di playback) e un po’ perchè, all’epoca, entravo e uscivo dagli ospedali come fosse casa a causa delle condizioni di salute dei nonni. Succedono periodi demmerda, lo so, e certe volte li associ a dischi che non hanno certo colpa se la tua vita non brilla. Un po’ come l’avversione a certi Lp che ti prende alla fine di una relazione. Non è colpa di quell’artista se la tua vita sentimentale ha preso la direzione del letamaio, ma ha fatto da colonna sonora allo sciacquone dove son finiti gli anni investiti e quindi ne hai fisiologico rigetto. Detto questo, sappiate che Vicious Cycle è 100% Lynyrd Skynyrd post-1990. Poche idee da gettare sulla griglia, molto mestiere, una bella spruzzata repubblicana e 100% american lifestyle. Red White & Blue è così lampante nel suo essere parodia di quello che la band era nei seventies, da essere quasi piacevole. Però non mi si toglie di dosso la sensazione che questo Lp, in realtà non è l’unico, è sinonimo di una band destinata al terribile volere ma non potere. Rossington (pace all’anima sua) e compagnia si sbracciano, tirano fuori riff, melodie, il country, boogie-rock e  chitarrone ruspanti, ma alla fine erano condannati a rifare un’ennesima versione di Free Bird (Red White & Blue) o una nuova Simple Man (Hell or Heaven). Non riuscendo ad eguagliarle per ovvi, e comprensibili, motivi. I Lynyrd Skynyrd di inizio 2000 non volevano l’evoluzione, guardavano ostinatamente indietro aggrappandosi all’idea che quella era l’unica via che gli avrebbe permesso di sopravvivere. Resistere immobili per non soccombere. E il trentennale dall’esordio è un boccone troppo succulento per lasciarlo per strada, per non strizzare l’occhiolino e chiudere profeticamente il cerchio. Il problema è chei Lynyrd Skynyrd funzionano quando i pistoni viaggiano, in caso contrario si incagliano dentro cose che non reggono la prova del tempo; e a vent’anni di distanza, Vicious Cycle suona troppo loffio. Ma non parte male, perchè That’s How I Like It è ruspante e i mezzi flirt con il lato duro del rock di The Way (comunque già sperimentati su On The Hunt nel ’75) e i rimandi country di Dead Man Walkin‘ non sono male. Il problema sta tutto nei brani oltre questi e Red White & Blue. I duetti su Pick Em Up non accendono l’entusiasmo e la partecipazione di Kid Rock (!) su Gimme Back My Bullets è da angoscia pura. Il resto zoppica quando va bene e mi fa cascare le braccia quando va male. Troppo impomatati, troppo ostentatamente malinconici (i bei tempi che furono) per essere presi seriamente. E Johnny Van Zant non è un gran paroliere, cosa che non salva dall’esecuzione i brani più banali. È palese che su Vicious Cycle i Lynyrd Skynyrd abbiano tentato di conquistare tutti, giocando sui ricordi, sui rimandi e sul senso della Skynyrd Nation. La bomba gli è esplosa in mano, fornendoci un Lp molto debole, nonostante le premesse. Ironia della sorte, con i successivi God & Guns e Last of A Dyin’ Breed, la band tenterà il mezzo colpo di coda (riuscendoci in parte) prima di alzare le mani contro il destino bastardo. [Zeus]