Green Lung – This Heaten Land (2023)

Incomicio la recensione, incensando ancora il precedente lavoro dei Green Lung: Black Harvest era/è un disco che non stufa. Se togliamo la tendenza spinta di Tom Templar di suonare più Ozzy di Ozzy, il secondo LP della band inglese era un reale colpo al torace e quindi onore e gloria alla compagine londinese. La prova del terzo disco, il qui presente This Heaten Land, mi è risultata più difficile da recensire. I singoli hanno sollevato delle aspettative enormi che, parere di questo inizio novembre, il disco nella sua interezza non ha rispettato al 100%: un buon 95%, ma non il 100%.
Mountain Throne è ancora adesso LA traccia di questo LP: un riffaccio baffuto e cazzuto e Templar che non gioca troppo all’Ozzy ma si sgola come dovrebbe fare più spesso, perchè la voce ce l’ha e di Ozzy ne abbiamo già avuto uno e, come sempre, mi basta e avanza. Non è una critica brutale, visto che il singer londinese ha ottime corde vocali, ma quando sposta il tiro su tonalità leggermente diverse dal Madman, ecco che ne esce una Mountain Throne. Maxine (Whitch Queen) mi aveva lasciato all’inizio più perplesso ma è una di quelle tracce stronze che dopo un po’ di volte mi son trovato a canticchiare senza rendermene conto. Tanto di cappello.
Adesso vengo al disco in sè. Si sente sempre un bel po’ di Sabbath e di Iommi nei Green Lung, e questo è sempre garanzia di qualità, ma ci odoro anche una maggiore fragranza Deep Purple, con organo/tastiere/sintetizzatori attivi, propositivi e intriganti. Un mix che funziona sotto moltissimi punti di vista, se a tutto ci mischiamo un certo retroterra folk da Inghilterra rurale, allora abbiamo in mano un potenziale bis di Black Harvest.
This Heaten Land pompa alla grossa fino a Maxine, arrivando a One for Sorrow con uno dei riff più pesanti in assoluto di questo disco: ve lo dico subito, Scott Black e Joseph Ghast devono essersi divertiti a sfondare gli amplificatori. Il problema è che One for Sorrow mi piace ma non mi scalda poi troppo l’animo. Da qua i Green Lung puntano tutto su Hunters in the Sky, chev è buona per carità, ma boh, e si inventano un colpo gobbo come la sabbatica (non la band”) Song of the Stones. Bella, tipica canzone in cui si respira la campagna inglese, la nebbia e tutto il ritualismo pagano che attraversava l’Inghilterra dei tempi che furono.
Ad essere sincero, tutto tira la volata a Oceans of Time, che è il motivo del giudizio “tranciante” sul singolo Hunters in the Sky. Oceans of Time semplicemente vibra di sonorità inglesi e chiude il disco con un crescendo.
This Heaten Land crescerà con gli ascolti e son quasi convinto che da qua a qualche mese mi mangio una merda pensando ad aver definito One for Sorrow buona ma boh, ma un confronto bruciante fra This Heaten Land e Black Harvest finisce per far vincere il secondo LP, secondo me più compatto e cazzuto, anche se forse più naive di questo.
In ogni caso, i Green Lung si confermano una di quelle band da sentire e consigliare agli amici. Perchè la buona musica deve essere condivisa.
[Zeus]