Domhain – Nimue (2023)

La mia reticenza a recensire EP è dovuta principalmente al fatto che, soprattutto quando sono composti da soli tre o quattro brani, il giudizio finale, che sia negativo o positivo, si conclude sempre verso il vedere che cosa la band combinerà sul futuro LP, per poter avere un’idea più definitiva. Quindi, tanto vale dare spazio agli album completi, vista la quantità di roba che ci viene recapitata. Ci sono delle eccezioni a volte, e questo Nimue, che è anche l’esordio dei nord irlandesi Domhain, è una di queste. Che poi parlare di EP è anche riduttivo perché, nonostante i brani siano solo tre, il disco dura ben ventinove minuti, come Reign In Blood. Lo so che uso spesso questo termine di paragone, ma per me Reign In Blood è diventato un’unità di misura, un po’ come L’Esorciccio per Synergo o le giraffe e le balene per gli americani (a loro va bene qualsiasi cosa, basta che non sia il sistema metrico decimale). Ma sto divagando.

Questo Nimue, fin dalla copertina, ci trasporta in regni e tempi pagani e, musicalmente, lo fa attraverso quello che potete chiamare post-black, blackgaze, o come vi pare. Fatto sta che in sole tre canzoni la band mette in gioco un sacco di elementi e lo fa ottimamente, lasciando a fine ascolto un senso di completezza. Ci sono una ricerca melodica notevole, un riffing di supporto granitico, stratificazioni sonore ed ogni brano presenta le sue particolarità, che siano gli splendidi cori, le linee di basso in evidenza, gli inserti di violoncello di The Mourning Star, la furia black, le linee melodiche e il magnifico assolo di chitarra posto in chiusura di Silent Frequency, i tempi dilatati, le melodie malinconiche e decadenti, gli archi e le note di pianoforte, i contrasti di A Pile Of Stones Upon Her Grave. A cui aggiungere sempre un utilizzo molto vario delle voci.

Sono bastati tre brani ai Domhain per convincermi della capacità compositiva ed esecutiva di cui sono in possesso, non c’è bisogno di aspettare un futuro LP perché Nimue vive di vita propria. Se il genere è nelle vostre corde, questo album è da ascoltare assolutamente. Quando si parla di post-black e blackgaze i primi nomi che mi vengono in mente sono gli Alcest e i Solstafir, ma anche chi apprezza quel mix di doom, gothic e death sulla scia dei My Dying Bride, per citare un nome, potrà apprezzare abbondantemente. A me poi hanno anche ricordato i Solefald. Gli spunti ce li avete, rimane solo da far partire la musica, chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare.

[Lenny Verga]