Soundgarden – Superunknown (1994)

Credetemi sulla parola quando vi dico che sapere che Superunknown dei Soundgarden è uscito 3 decadi fa mi mette una pesantezza sulle spalle enorme. Uscito nel giorno della festa della donna, è diventato un classico da subito. Se metti insieme una tracklist che contiene la superfamosa Black Hole Sun, una Fell On Black Days, Spoonman o The Day I Tried to Live giusto per citarne alcune, non puoi che avere vita semplice. I Soundgarden erano le vere star del grunge, anche se anche loro con il reale suono di Seattle ci stavano di striscio. Non puoi mettere insieme la ruvidezza di una band come i Mudhoney con quanto prodotto dai Cornell e soci, sono due campionati diversi. Se dovessi vedere il vero suono di Seattle, quello che tutti definiscono per praticità grunge, lo riscontro nel gruppo di Mark Arm. Il mix Led ZeppelinBlack Sabbath sparato a tutto volume dai Soundgarden è altro. E in Superunknown hanno raggiunto l’apice di una parabola che non sembrava poter mai scendere, ma che in realtà si sarebbe arrestata da lì a poco (1996) con l’uscita di Down on the Upside, ma nel 1994 la truppa non lo sapeva ancora. Ed è anche giusto così, visto che il 1994 è stato un anno immenso dal punto di vista musicale. Che sia metal o rock, sono usciti così tanti classici che è difficilissimo tenerne il conto e, di certo, ne salterò qualcuno perchè su questa webzine devo anche parlare di dischi che escono nel 2024.
Brutta cosa la nostalgia canaglia.
A 30 anni di distanza, Superunknown non ha perso niente del suo fascino. Pesante, accattivante, pieno di substrati emotivi e letture più oscure di quanto si vorrebbe ammettere. La brutta fine che ha fatto Chris Cornell ci costringe, adesso, a leggere le liriche che ha scritto sotto una luce molto diversa, interepretando e analizzando se dentro brani come Black Hole Sun ci siano già i germi della depressione, se dentro Fell on Black Days ecc ecc… Ma c’è anche un peccato originale, visto che sappiamo tutti che mentre registravano Superunknown, Cornell era preso malissimo dalle letture di Sylvia Plath, scrittice/poetessa di talento che ha lasciato questo mondo disgraziato all’età di 32 anni mettendo la testa ne forno a gas.
Però la bellezza di Superunknown è proprio questo suo essere in bilico fra l’essere accessibile, ruvido ma spigliato in molti suoi brani, oscuro e spesso pesante e catartico.
Questo LP ha tutto, veramente, anche se devo fare una dichiarazione onesta: riascoltato adesso e senza l’essere più drogato fino alla bava alla bocca di grunge (termine generale), mi accorgo che non tutti i brani mi piacciono più al 100% come un tempo, ma son piccolezze e sui 15 brani e 70 minuti di musica, penso che non riuscirei a coprire una mano con le canzoni che son scese di mezzo gradino nel gradimento (una Limo Wreck ad es.). Però non posso nascondere questo particolare, non sarebbe onesto in una riflessione a 30 anni di distanza.
Se volete fare un regalo alla vostra dolce metà per l’8 marzo, non regalate schifossime mimose che poi muoiono di una morte terribile lasciate a seccarsi in qualche posto polveroso della cucina, ma mettete su Superunknown e lasciatevi trascinare via per 70 minuti.
Black hole sun
Won’t you come
And wash away the rain?

[Zeus]