Bruce Dickinson – The Mandrake Project (2024)

Ho sempre seguito la carriera del Dickinson solista con molta più partecipazione rispetto alla sua carriera Maideniana, diciamo che quello che segue Fear of the Dark per me è hic sunt leones. Adesso potete incominciare a spararmi ed insultare TheMurderInn (o il recensore qui presente). I dischi con Blaze li ho sentiti a spizzichi e bocconi, mentre dalla reunion in avanti mi son ascoltato qualche singolo e poi mi son dedicato a fare altro. Non mi sento neanche in colpa, vedete voi.
Invece Bruce solista lo seguo con interesse, Accident of Birth era ed è un ottimo disco, mentre The Chemical Wedding è semplicemente spettacolare, uno di quei dischi da lacrime agli occhi. Tyranny of Souls buono, ma non è un capolavoro e questo poteva essere un caso o un LP di assestamento, tanto la qualità media era comunque più alta di quanto stavano producendo (e produrranno) i Maiden nel post-2000.
Il problema del mondo moderno è la reperibilità delle anteprime e dei singoli. Prima dovevi comprarti o la rivista o sborsare soldi per il singolo (denaro buttato nel cesso, a mio modo di vedere, mai stato un sostenitore dei singoli), adesso basta aprire Youtube, Spotify o Apple e sei già al pari. Afterglow of Ragnarok è apparso lanciando cibo agli affamati, soprattutto per quelli che l’ultimo LP dei Maiden proprio non l’avevano digerito. Il brano era un gna, viaggiava bene e male insieme. Ha parti che mi facevano ben sperare, mentre altre mi rendevano perplesso. Sui lati positivi c’era la prestazione di Dickinson e la produzione, tenetevi a mente queste due cose.
Faccio un salto temporale e arrivo al 1 Marzo e all’uscita di The Mandrake Project. Aspettative alte, ovvio, ma non mi attendevo un nuovo The Chemical Wedding, quello era un caso a parte. Irreplicabile e sarebbe assolutamente senza senso tentarci. Però il binomio Bruce – Roy Z. è di qualità, quindi un po’ di pressione gliela potevo anche mettere sulla schiena. Ricompensata? A dir la verità sono indeciso su che giudizio emettere.
Il disco non è male, assolutamente. Anzi, ci sono momenti in cui mi piglia anche bene; ma il confronto con il passato lo stronca, soprattutto per i due punti sopra citati. La produzione di The Mandrake Project è troppo spesso altalenante e in certi momenti addirittura brutta. Mi vengono in mente i demo o le pre-produzioni rilasciate “grezze” perchè i soldi per l’affitto dello studio sono finiti (figuriamoci se Dickinson finisce il grano dato dalla BMG). Per delucidazioni sentitevi Shadow of the Gods, in cui si parte anche decentemente e poi tutto viene sommerso in una scelta scellerata di volumi. E altre scelte discutibili si riscontrano qua e là per tutto The Mandrake Project.
Veniamo a Dickinson e togliamoci il peso dallo stomaco. Il singer ci tenta e si sgola, ma il risultato, soprattutto quando punta sul secondo elemento è difficilmente difendibile. Non ce la fa più a raggiungere le vette acute, in molti episodi proprio ha bisogno dell’ossigeno per arrivare ad un risultato che non è lontanamente accettabile per chi lo ha conosciuto nel suo momento d’oro. Lo stesso appunto lo facevo a Phil Anselmo sul terzo LP dei Down, Down III – Over the Under (solo che Phil si è sputtanato la voce già dal 1994 circa, quindi è un caso diverso).
Se Bruce variasse il suo stile, prendendo coscienza che ormai la sua voce non è più capace di raggiungere certe tonalità (percorso che ha fatto anche Rob Halford e che ha portato risultati eccellenti, basta vedersi gli ultimi due LP in studio), il suo rendimento in studio/dal vivo ne gioverebbe.
Face in the Mirror potrebbe essere lo specchio di quello che sto dicendo: ballata sentita con prestazione buona di Bruce, più roca ed emotiva, rovinata però da una serie di acuti che emergono alla cazzo di cane durante i ritornelli. Certe cose mi fanno cadere le palle.
Per il resto ci sarebbe bisogno di un track-by-track, ma io lo odio, quindi mi limito a far presente che Sonata (Immortal Beloved) all’inizio mi ha deluso, mentre dopo un po’ di ascolti è cresciuta, mentre il tex-mex-con panna acida di Resurrection Men è indigesto (a parte un riff di Roy Z., che sarà scontato come i prezzi alla Lidl, ma viaggia bene). The Mandrake Project procede così, dando un colpo a brani decenti, che hanno un po’ di nerbo e che mi fanno ben sperare (tripletta iniziale), e altre cose che mi hanno lasciato abbastanza freddino (ad es. una Mistress of Mercy sembra promettere, ma in realtà non incide).
Il duo Bruce Dickinson – Roy Z. non ha prodotto uno schifo, permettetemi di ripeterlo, e anzi sottolineare che in media è un LP decente. Avrebbe meritato una migliore produzione e qualche scelta meno famigerata in termini vocali e anche di songwriting – va bene tentare qualche via personale, ma certe soluzioni non reggono proprio -, ma è un disco che ha una sua dignità e, per i più giovani, buono anche da cannibalizzare per le compilation su Spotify.
Non so quante volte lo riascolterò The Mandrake Project. Ve lo dico. Ho la sensazione che sarà uno di quegli LP che prenderanno la polvere (digitale) e le statistiche non verranno nutrite dai miei ascolti. Però un vantaggio ce l’ha, è da quando che ho messo su i brani di ‘sto CD che mi è venuta voglia di riprendere un po’ della discografia precedente di Bruce e dargli un paio di ascolti, giusto per bearmi di quel ben di Dio che ha prodotto nel passato. Non è poco, ma forse dice anche abbastanza del nuovo LP di Bruce & Co.
[Zeus]