Nine Inch Nails – The Downward Spiral (2004)

Anche io, come molti dello stesso range d’età, ho avuto un momento in cui mi sono impegnato a cercare sollievo dallo schifo esterno con la musica dei Nine Inch Nails. Pretty Hate Machine faceva il suo lavoro, ma in realtà era quasi troppo “leggero” per i miei gusti, anche se qualche volta, Head Like a Hole o Ringfinger le ascolto come guilty pleasure. Soprattutto quest’ultima, anche se non capita così spesso come un guilty pleasure potrebbe far pensare.
The Downward Spiral, che compie la bellezza di 30 anni, si pone senza minimi termini sull’altro lato dello spettro della “leggerezza”. Ecco perchè mi ha attratto, anche se il genere proposto dai Nine Inch Nails, in realtà, l’ho sempre bazzicato pochissimo. Però aveva il feeling giusto, sapeva toccare delle corde nell’anima di un poco più che ventenne che altri dischi non riuscivano. Al tempo, e per un brevissimo momento, Trent Reznor e i Nine Inch Nails mi hanno realmente parlato. Poi è finita la cosa, mi sono staccato dalla loro musica e ho scelto di prendere altre strade estreme, ma a The Downward Spiral devo dare il merito di avermi cullato con la sua bruttura, il suo essere sporco, asociale, cattivo, nichlista e quant’altro, proprio quando ne avevo bisogno. Il disco al momento giusto, quello che ti permette di tenere la barra a dritta, mentre tutto sta andando storto e le scelte sono quelle di uscire di casa e di testa. Invece no, son qua e lo devo (anche) a dischi come questo. LP che non rientrano nello spettro musicale, fuori dagli ascolti di ogni giorno o anche decennali – non sentivo tutto The Downward Spiral da anni -, ma che hanno qualcosa in più. E non sto parlando solo di Hurt, che è una canzone bellissima, dolente e tragica. Talmente un classico che riesce a trasmettere il suo nocciolo oscuro sia in versione originale, sia a seguito della cura country di Johnny Cash. In realtà è tutto il disco che trasmette vibrazioni negative, di introversione e distacco dalla realtà. Già dall’introduzione Mr. Self Distruct si capisce che Trent Reznor ha prodotto qualcosa d’altro, una bestia diversa. Closer è al tempo stesso oscena e disperata, dove le liriche ossessionate dal sesso sono in realtà un’ammissione di insensibilità. Di morte interiore. Non c’è nessun elemento “romantico” dentro Closer. Ma non penso che siete a leggervi una recensione di The Downward Spiral sperando di leggervi dentro sole, cuore amore. Vero? E poi vogliamo parlare di Heresy o di March of the Pigs (isterica, veloce e poi, improvvisamente e in maniera straniante, suadente)?
Non penso debba dire molto altro di The Downward Spiral. Un disco per una stagione, almeno per il sottoscritto. Nel mio IPod è durato poco, ma ha avuto un peso. Molti dei dischi che recensisco in questi mesi o che ho recensito negli ultimi 25 anni non possono dire altrettanto.
[Zeus]