Vigljos – Tome I: Apidae (2024)

“You can’t do metal with bees”

Amorphis: “Hold my beer!”

Quando sentii questa battuta all’epoca dell’uscita di Queen Of Time degli Amorphis e, in particolare, del singolo The Bee, la trovai molto divertente e azzeccata. La band finlandese cantava, con la sua eleganza, di costruzioni di alveari, produzione di miele, allevamento di una regina. Non che non ci fosse già un sottobosco di metal dedito a tematiche ambientali, ma il discorso era un po’ diverso. E qui arriviamo al disco di oggi. Gli svizzeri Vigljos hanno fatto dell’apicoltura un vero e proprio culto su cui suonare il loro “Oscure Oldschool Beehive Blackmetal”, e tutti questi termini hanno il loro perché. Indossate vesti bianche e maschere di vimini per proteggersi il volto, si entra nell’alveare. Un ronzare di api fa da sfondo all’intro medievaleggiante Rays of Light on Liquid Gold, che sfocia nella prima canzone, Sweet Stings, che ci offre un black metal molto raw e vecchio stile. Siamo dalle parti degli Arckanum anni ’90, per dare un’idea, ma con cognizione di causa. Il suono è grezzo ma si distinguono gli strumenti, riff di chitarra minimali e tappeti di tastiere si bilanciano senza sovrastarsi mentre lo screaming si alterna a urla sguaiate. The Apiarsit, la terza traccia, gioca di più sulla melodia e sui rallentamenti, cosa che troviamo anche nella seguente Swarming. L’oldschool c’è in tutto e per tutto nei Vigljos, ci sono spunti interessanti anche se, concept a parte, non si può parlare di originalità nel riffing, nelle linee melodiche e vocali.

Le tracce che compongono Tome I: Apidae girano tutte intorno a questi elementi, a volte esasperandoli e tirandole troppo alla lunga, anche oltre gli otto minuti, ma riuscendo comunque nell’intento di trasmettere il senso di oscurità proprio del black primordiale. A metà disco trova spazio anche una strumentale, Dance of the Bumblebee (i titoli delle canzoni sono fantastici) che spezza per un attimo lo sciame, che poi riparte a pieno regime. Diciamo che l’intero album è un po’ duro da buttare giù tutto in una volta se non si apprezza il sound del black da scantinato della prima ora e una certa ripetitività di fondo non aiuta chi non è avvezzo all’ossessività di una data corrente black. Va benissimo essere ancorati alle sonorità del passato, ma un piccolo sguardo alla contemporaneità sarebbe consigliato per quanto riguarda il cantato, a volte ai limiti dell’ascoltabile. Una possibilità gliela darei in ogni caso, anche solo per apprezzare il concept. Interessanti, ma mi aspetto però qualcosa di più in futuro.

[Lenny Verga]