Phoebus The Knight – Ferrum Fero Ferro Feror (2023)

Ferrum Fero Ferro Feror è l’album d’esordio dei francesi Phoebus The Knight, che segue l’EP The Last Guardian uscito un anno fa. Etichettata come symphonic power metal, la loro musica in realtà offre molto di più. L’intro Antelux porta alla prima traccia, The Beast Within, che introduce già diversi elementi: inizia come un pezzo power abbastanza canonico a cui si aggiunge una voce da basso, caratteristica fondamentale che all’inizio potrebbe lasciare un po’ spiazzati. Ma a spiazzare ancora di più è un piccolo accenno di death melodico e la voce in growl che fa, per il momento, una piccola apparizione, ma che sarà presente maggiormente in altre tracce. 

L’album procede su coordinate che mettono in primo piano melodia, orchestrazioni e le doti canore del frontman. La quarta traccia, The Scarlet Dance, allarga ulteriormente i confini: ad un’impostazione classicamente symphonic power, con tanto di cori, si aggiungono parti in growl, un intermezzo recitato e una parte strumentale folkeggiante che funziona bene. Altro pezzo interessante è Darkness Will Prevail, che alterna parti fortemente teatrali a sfuriate melodic death. The Queen of The Black Sun supera gli otto minuti di durata ma ha dalla sua delle belle linee melodiche e la parte parte metal è tra quelle che meglio emergono in tutto l’album. Massacres de Septembre è un pezzo drammatico, evocativo ed è l’unico cantato interamente in francese.

Ferrum Fero Ferro Feror è un album che eccede un po’ in teatralità e con gli arrangiamenti. Calcare di più la mano sulla parte metal secondo me avrebbe giovato, ma il mestiere che c’è dietro è indubbio. I Phoebus The Knight hanno tratti in comune con i Powerwolf, per alcune cose anche con i The Vision Bleak per quanto riguarda la drammaticità, e sicuramente con i nostrani Rhapsody (che siano Of Fire o i Turilli/Lione), per quanto riguarda l’impianto power sinfonico, e se vi piacciono questi riferimenti, non esitate ad ascoltarli. 

[Lenny Verga]

Ravenlight – Immemorial (2023)

Oggi su The Murder Inn torniamo a parlare di metal sinfonico, croce di molti e delizia di pochi, cercando di farlo sempre in modo obiettivo, per quanto difficile, quando si tratta di un genere così discusso. Questa volta è il turno degli irlandesi Ravenlight, band attiva dal 2018 e che non si è certo risparmiata, arrivando oggi con Immemorial alla quarta release ufficiale, con due EP e due album all’attivo.

L’impegno a quanto pare li ha ripagati, vista l’accoglienza positiva che hanno ricevuto finora, sia in patria che fuori, tanto da vederli come supporter live di nomi del calibro di EvergreyCruachan e Firewind. Power metal quindi, sinfonico, con accenni al prog, una via di mezzo tra i Nightwish meno pretenziosi e i Kamelot, con un cantato esclusivamente femminile. La cantante Rebecca Feeney segna già un punto a favore dei Ravenlight grazie ad una varietà espressiva che non la relega al solito (mezzo)soprano ma le permette di spaziare (più una Floor che una Tarja, per rimanere in tema). 

Chitarre e tastiere sono opera di John Connor che, occupandosi di entrambi, riesce a creare un buon equilibrio, con una predilezione per le prime come è giusto che sia, ma dando il giusto spazio anche alle seconde (le note di pianoforte alla base di Paper Ships fanno un gran lavoro), creando anche intrecci tra le due che favoriscono l’eleganza e la melodia alla pomposità. E qui arriviamo ad un altro punto a favore: i Ravenlight non appaiono mai esagerati, pomposi, eccessivi. Sono sempre sobri, equilibrati, emozionali senza essere stucchevoli e con una solida base metal fatta di chitarra-basso-batteria. I brani, dieci in tutto, non eccedono mai in durata, se si esclude la conclusiva e classica suite Springtime Lament che comunque funziona benissimo e che è probabilmente tra le migliori dell’album.

Immemorial è un lavoro  molto melodico senza essere banale, con una buona scrittura alle spalle, che senza stravolgere le regole, ma con consapevolezza e padronanza dei mezzi porta a casa un bel risultato. Chi non apprezza il genere non cambierà idea ascoltando i Ravenlight, chi invece lo ascolta o lo ascoltava troverà una band che lo tratta in modo più maturo rispetto a tanti altri. 

[Lenny Verga]

Fra clangore di spade e miti arcani. Arcane Tales – Tales from Shàranworld (2021)

Torniamo a parlare degli Arcane Tales sulle pagine di The Murder Inn a due anni di distanza dall’ultima volta. Per chi non li conoscesse, sono una one man band dietro alla quale si cela il polistrumentista veronese Luigi Soranno ed il genere proposto è power metal sinfonico.
Il nuovo album si intitola Tales from Shàranworld e conferma quanto di buono avevo già trovato nel precedente Power of the Sky del 2019, cioè la capacità di andare direttamente al punto in ogni brano, senza risultare dispersivo, pomposo o pieno di inutili lungaggini. Cosa non da poco per un genere che per prolissità solitamente è secondo solo al progressive e poco altro.
Confermare le aspettative non è il solo punto a favore del nuovo lavoro, perché i miglioramenti rispetto al passato sono diversi, a partire da una produzione migliore e da un songwriting più evoluto e vario. Tales from Shàranworld è un viaggio epico, molto più heavy di quanto il power sinfonico non sia di solito, incentrato tanto sulle chitarre e i riff, tanto quanto sugli arrangiamenti, scelta ben ponderata che da vita ad un buon equilibrio fra i due elementi. Inoltre, questa volta Luigi si mette molto più in gioco sulle linee vocali, sperimentando e regalando al lavoro una varietà che prima un po’ mancava.
Un ascolto caldamente consigliato a tutti i fan del genere e complimenti ancora a Luigi per la capacità di concepire e realizzare da solo tutta la sua musica.
[Lenny Verga]