Gli Slayer nel 2001. God Hates Us All

Cosa possiamo dire degli Slayer nel 2001? Amati, odiati o, ormai, indifferenti? A meno che non vi siate fumati anche la candeggina, la terza opzione non è contemplabile, non stiamo certo parlando dei Bon Jovi, cristo. Lo sapete anche voi che gli Slayer sono tutto fuorché indifferenti, visto che le emozioni che suscitano portano ad uno o all’altro estremo.
Questo God Hates Us All è in bilico, anche adesso dopo 20 anni dalla sua uscita. Mi piace, non mi piace: io non riesco a trovare la soluzione a questo interrogativo. Non posso negare che dentro God Hates Us All ci sia una bella dose di aggressività e violenza, ma il problema è riassumibile citando la stranota pubblicità delle gomme: la potenza non è nulla senza controllo. Perché questa è la domanda che mi sono posto in continuazione: dov’è il sound degli Slayer? Su God Hates Us All esce a stento, mutuando moltissimo dalle sonorità moderne del 2000.
Quando scrivo i pensieri sui dischi usciti venti, trenta o oltre anni fa, mi butto nell’ascolto del disco in maniera ossessiva (ok, lo faccio per tutte le recensioni) così da capire bene cosa ne penso adesso rispetto ad un’opinione consolidata nel tempo ma, forse, immutata perché non ho mai concesso una vera seconda chance.
God Hates Us All lo sto mettendo in loop da giorni, tanto che fra un po’ mi starà sul cazzo, e quello che ne ricavo è che ci sono diverse cose che non mi tornano e alcuni elementi che tenterei di rivalutare in maniera tutto sommato positiva.
God Sends Death (o New Faith) e i suoi breakdown sono la cartina tornasole di una band che, in pieno cambio di secolo, tenta di tenere i piedi in due staffe: tentano il colpo oltranzista e violento ma con un occhio al nuovo pubblico adolescente che si affacciano al mondo della musica estrema e ha un primo assaggio dei grandi vecchi del thrash del 1980. E così ecco che nel thrash di marca Slayer filtrano terribili elementi nu metal, ma non sono le uniche che non funzionano, visto che i suoni di chitarra si spostano dal classico thrash e si avvicinano quasi all’hardcore. E se all’inizio molte tracce svaccano con breakdown insistiti o soluzioni insensate, ecco che arriva Deviance a toppare di brutto. La riascolto oggi e non riesco a prenderla seriamente, forse anche perché Araya non ci mette un minimo di cuore nel cantarla e tutto suona spompo.
Però non tutto è perduto e ci sono ancora elementi positivi; delle tracce che suonano Slayer e che ci restituiscono un po’ dell’idea che avevamo della band. La violenza espressa (War Zone è un esempio di Slayer 2.0) e l’aggressione insensata sono dei punti positivi che ritornano a farsi sentire con forza, cosa che a suo tempo mi aveva fatto sperare in un LP “migliore” di quello che sto ascoltando. Il vero vincitore di God Hates Us All è sicuramente Bostaph, visto che ci mette più determinazione di tutti e piglia a ceffoni la batteria colpendola per tutto il corso del disco in maniera chirurgicamente brutale, peggio di Mike Tyson col suo sventurato sparring-partner.
A vent’anni di distanza non riesco a condannare in maniera assoluta God Hates Us All, e non lo faccio perché poi sono usciti dischi peggiori, ma perché questo LP non è così “sbagliato” come mi ricordavo. Va bene i suoni da nuovo millennio, i breakdown e la volontà di pescare nuove anime, ma sull’altro piatto della bilancia ci sono abbastanza elementi positivi da farmelo rivalutare almeno in parte. Non sarà mai un top album degli Slayer, ma fra questo e un St.Anger qualsiasi ci passa un Danubio.
[Zeus]

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