Black Label Society – 1919 ★ Eternal (2002)

Nel 2002 Zakk Wylde decise di dare un po’ di freschezza alla Black Label Society. No, scherzo, in realtà Wylde fa sempre tutto da solo, a parte la scelta di cambiare il batterista e servirsi di Craig Nunenmacher, all’epoca in stand-by con i Crowbar e di reclutare, per due brani, Robert Trujillo, all’epoca attivo come session per Ozzy Osbourne e Jerry Cantrell, ma a breve sarebbe diventato promesso sposo dei Metallica del loro periodo peggiore in assoluto. Ma questo terribile momento verrà più tardi e non c’è ragione di farsi il sangue guasto adesso.
Il risultato è 1919 ★ Eternal e mi è facile definirlo come uno dei dischi più compatti della Black Label Society. Tutto bello? No, certo che no, ma è un LP coeso, pesante e tirato, visto che anche le onnipresenti ballad non sono una martellata sulle balle e vengono tenute sotto controllo, lasciando all’inutile Speedball e alla finale, e francamente un po’ noiosa, America the Beautiful il compito di mostrare quanto Zakk Wylde sia bravo con la chitarra. Nessuno lo dubita, io men che meno, ma il Wylde che mi piace è quello che sa mettere buoni riff in una canzone o che, pur sbrodolando note, ha la capacità di inserire un buon solo nella canzone. Il resto è solo masturbazione dello strumento e, su disco e ancora peggio dal vivo, questo atteggiamento mi crea un portentoso problema di mascarpone alle palle.
Ancora oggi, e sto parlando di 20 anni di ascolti, il difetto di 1919 ★ Eternal è la sua lunghezza spropositata: un’ora di musica è troppa quando nel disco si hanno alcuni momenti di calo d’ispirazione, che portano a brani che dimentico esistere nel catalogo della BLS (Mass Murder Machine è un buon esempio).
Sia chiaro, 1919 ★ Eternal parte grosso; Bleed For Me e Lords of Destruction pompano, pesanti quanto basta e con i fischioni che tanto piacciono a Zakk, ma è tutta la prima metà del disco che funziona, pur beandosi di una generale linearità e/o ripetitività (Life, Birth, Blood, Doom procede dritta come un treno). Bridge To Cross, prima ballad all’altezza della canonica quinta posizione, o Lost Heaven sono ancora oggi alcuni dei brani lenti della BLS che mi piacciono di più.
Nella seconda metà, invece, crescono i problemi, anche se minori. Per delle Graveyard Disciples o Genocide Junkies che tutto sommato, fra alti e bassi, funzionano, ci sono cose come Refuse To Bow Down o Berseker, o la già citata Mass Murder Machine, che lasciano il tempo che trovano.
Si era già capito che prima o poi sarebbe uscito un disco “peso” della BLS e la preview di questo atteggiamento petto in fuori era già presente nelle ritmiche heavy di Down to Earth di Ozzy e che, in un futuro prossimo, porterà al licenziamento dello stesso Zakk dalla Osbourne band perché troppo propenso a portare il suono Black Label Society nei dischi del suo Boss.
Il 2002, per me, porta l’inizio del periodo più “ispirato” e vario della Black Label Society. Fra alti e bassi (Shot to Hell del 2006, quanto l’avevo atteso e quanto mi ha deluso ‘sto disco), Zakk riesce a comporre alcuni fra i migliori dischi, prima di arrivare all’apice di Order of the Black del 2010 e incominciare la fase cazzeggiona che dura ancora oggi.
Il live tratto dal tour di questo disco, con una formazione di tutto rispetto, è sporco, brutto e sudato. Praticamente quello che voglio dalla Black Label Society.
[Zeus]

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