Se volete sentirvi vecchi, Death Cult Armageddon dei Dimmu Borgir compie 20 anni (2003)

Fra Death Cult Armageddon ed Eonian ne hanno fatte di porcherie i Dimmu Borgir, ma sapere che son passati addirittura 20 anni dall’uscita di DCA mi ha preso male. Mi son perso qualcosa? Che è successo in tutto questo tempo? Nel 2003 ero un promettente studente di Giurisprudenza nella poco ridente Trento e adesso quello è il passato e sono in Austria a fare il giocoliere fra mille cose. Ma come dicono i Marduk nel loro ultimo singolo: Have you begun to grasp/That life is not a clock/But an hourglass? Ebbene sì, 20 anni fa è uscito Death Cult Armageddon e se voglio essere buono e sincero, segna il momento in cui i Dimmu Borgir sbragano e da quel momento in avanti non ne azzeccheranno una neanche a volerlo, a partire dall’obbrobrio chiamato Stormblåst MMV. Il fatto è che, a risentirlo oggi, DCA non è lontanamente brutto come molti ne avevano parlato all’epoca, forse è dovuto al fatto che in seguito sono usciti dischi come In Sorte Diaboli, ma nel 2003 il mix orchestra – black metal pensato da Shagrath e compagnia funziona. E anche discretamente bene. Soffre di alcuni fattori debilitanti, di cui parleremo dopo, ma è un LP che ha un senso compiuto e che forse riesce dove i precedenti due non erano riusciti neanche ad avvicinarsi: suonare coerente e, probabilmente, come una colonna sonora dell’apocalisse. Vista la resa cinematografica di pezzi come Progenies of the Great Apocalypse, il pensiero non è poi così peregrino. L’orchestra non si prende il ruolo principale (ha il centro dell’attenzione solo nell’intro di Eradication Instinct Defined), che poi incomincerà ad assumere col passare degli anni, ma è elemento di supporto ed atmosferico, il che fornisce un quid di grandeur alla musica senza però ridurre la strumentazione classica ad un mero teatrino. La logorrea di Shagrath, anche qua si dimostra un singer estremamente verboso, a volte soffre la sovrastruttura musicale, ma sulla lunga distanza ne esce un pareggio e non fa la figura del pirla.
Dicevo dei problemi di Death Cult Armageddon. Non sono poi moltissimi, ma qua è un fattore prevalentemente legato al gusto musicale dell’ascoltatore. Se siete fissati con registrazioni tipo Les Légions Noires allora i Dimmu Borgir del 2003 non fanno proprio per voi, ma se spaziate un po’, allora il discorso non vira unicamente sul il symphonic black metal mi fa cagare, ma si arricchisce di alcuni elementi in più di discussione. I brani tengono, ma è indubbio che verso la fine i Dimmu hanno deciso di piazzare tutto il materiale meno incisivo della registrazione, tanto che più passa il tempo, più ho avuto (oggi come allora) la sensazione di una band che ha qualcosa da dire ma la spinta ha incominciato a scemare col passare del minutaggio – consistente, fra l’altro. Però pezzi osceni non ce ne sono, e anche se molti additato Blood Hunger Doctrine come un pezzo debole, a me stranamente piace. Forse potevano limare alcune composizioni di trenta secondi/un minuto senza che nessuno scoppiasse in lacrime, ma rispetto alla depressione compositiva in cui sono caduti in seguito, il paio di minuti in più sui brani sono caramelle. Fidatevi.
A vent’anni di distanza, Death Cult Armageddon può essere descritto come magniloquente, orchestrale, eccessivo, cinematografico e tutto quello che volete, ma è e rimane l’ultima prova in studio dei Dimmu Borgir ad avere un minimo di senso. Dalla sbornia successiva alla pubblicazione di questo LP non si riprenderanno più e procederanno, impenitenti e col passo dell’ubriaco, di porcheria in porcheria.
[Zeus]