Amorphis – Far From The Sun (2003)

Ad inizio 2000, gli Amorphis si ritrovarono catapultati nel mondo dei grandi, delle major, dei contratti con i soldoni e, anche se pare nessuno lo avesse detto prima, anche con aspettative di successo commerciale. Ma queste aspettative, per quanto sicuramente condivise dalla formazione finnica, erano di certo un punto importante nell’agenda della major. E, nel caso degli Amorphis, il salto nell’acqua fredda non è stato piccolo, visto che passarano dall’essere un nome di punta nella Relapse Records ad uno dei nomi della EMI. Non mi pare che quest’ultima sia favorevole a sborsare soldi per una band che non tira fuori un disco di platino, ecco perchè il rapporto con l’etichetta diventa rapidamente passato remoto e la band correrà, nel 2006 e col cambio di formazione, ad abbracciare gli aromi di crauti e stinco della Nuclear Blast. Ma facciamo di nuovo un passo indietro ad inizio duemila, dove gli Amorphis erano una formazione rock e solo in seconda misura di metal estremo. I due ultimi dischi, Tuonela e Am Universum, aveva già messo in chiaro la direzione musicale di Esa Holopainen e soci, buttando molto dell’amore dei seventies e del rock dentro le proprie opere e lasciando fuori l’elemento death, comunque tenuto in vita in versione live grazie al growl di Pasi Koskinen. Ecco perchè il passaggio alla EMI non era imprevedibile, anche una major ha l’ambizione di differenziare il portafoglio e tentare il lancio di una formazione estrema. Però lavorare per una major e rispettare le linee guida che la gerarchia di comando impone non è da tutti, o almeno così ci informa il buon Sakis Tolis nella biografia dei Rotting Christ. E i greci erano sotto Century Media, etichetta grossa sì, ma nell’ambito extreme. La EMI gioca in una categoria diversa. Con l’arrivo ai piani alti, agli Amorphis prende il capogiro, la mancanza di ossigeno si fa sentire e la formazione scricchiola pericolosamente. Pasi sembra totalmente svogliato, e forse lo è anche, e le linee vocali sono poco ispirate. Talmente tanto buttate via che poco tempo dopo il singer degli Ajattara se ne va e lascia spazio alla versione 3.0 degli Amorphis, quella che, cambio di bassista a parte, sentiamo ancora oggi. Il problema di Far From The Sun è il suo essere successore di Am Universum. La formula rock psichedelico, pinkfloydiano, morbido e liquido allo stesso tempo, con accenti piú hard rock ma tenuti sotto controllo dal mastering, non è nuova e non è ispirata. Il picco, lo zenit, lo avevano già raggiunto pochi anni prima. Forse lo sapevano anche gli Amorphis, ma tentando in maniera pervicace di tenere la barra a dritta fallirono miseramente. L’unica che non se ne era accorta era forse la EMI, ma ad inizio 2000 Napster e Spotify non avevano ancora fatto danni irreparabili al mercato della musica e i budget erano ancora interessanti. Far From The Sun è il ritratto di una formazione che si è persa in sé stessa alla ricerca di soldi e visibilità. Non è brutto in toto, alcune cose sono piacevoli da sentire e la title track, in versione acustica, la utilizzo per mettere a nanna il pupo. Però non ha la qualità dentro, sono spesso brani ben fatti ma noiosi, almeno fino alla title-track che non mi dispiace, e che non sfociano mai in un grande pezzo. A partire da Far from the Sun sembra che i finnici si siano leggermente svegliati, ma senza grossi colpi di coda per poi finire l’energia in maniera progressiva e lasciando spazio a Smithereens, canzone che non ricordavo proprio. Visto il castrone preso, Esa e soci faranno rapidamente inversione di marcia, tornando a bazzicare il death metal melodico, buttando dentro nelle canzoni dosi sempre maggiori di gothic acchiappone generalista e, con Tomi Joutsen, ritornando all’ovile del Kalevala come testi e ispirazione. La nuova verginità non è poi durata moltissimo, lasciando spazio a manierismo d’autore e dischi belli ma lontani anni luce dall’essere essenziali come lo furono un Elegy o un Tuonela. [Zeus]

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