In Flames – Soundtrack to your Escape (2004)

Visto che mi sono preso la responsabilità di portare avanti questa webzine, lasciatami irresponsabilmente dai padri (e madri) fondatori, nelle ultime settimane mi son arrovellato il cervello su come produrre maggiori contenuti, interazioni, commenti e, in generale, generare attenzione per TheMurderInn. In un secondo momento si è presentato anche il pensiero di come potersi inimicare quei 2 lettori e mezzo che continuano imperterriti ad accompagnare le loro deiezioni giornaliere con i testi qua contenuti. Il dubbio, atroce, mi ha lasciato spossato per giorni e giorni, finendo per scavarmi nell’anima un solco che dubito verrà mai ripianato. Alla fine vedo che questo mese cade il compleanno di Soundtrack to your Escape degli In Flames e la risposta era proprio davanti ai miei stanchi occhi.
Soundtrack to your Escape (probabilmente da qui in avanti lo ridurro a STYE) è il settimo disco in studio degli In Flames. Uscito nel marzo 2004, questo LP certifica senza ombra di dubbio la forma schifosa in cui si trovavano Friden e soci ad inizio 2000. STYE è talmente brutto che, diciamocelo, persino il pessimo Reroute to Remain sembra essere un dischetto su cui potrei soffermarmi in caso di carenza assoluta di musica e, andando al passo del salmone, fa sembrare Clayman un fottuto discone. Sinceramente non credo che in tutto Soundtrack to your Escape ci sia una sola canzone da salvare, composte come sono con la mano sinistra e lasciate a marcire sotto il sole della Svezia.
Solo per dire, per le registrazioni la band deve aver messo Svensson naftalina e tirato fuori una controfigura banalotta e capace di pochissima inventiva, mentre alla sei corde Jesper Strömblad sembra essersi improvvisamente dimenticato di come si suona in un disco degli In Flames. Il grande chitarrista che aveva marchiato a fuoco il suono della band svedese con quella caratteristica mistura che era propria solo degli In Flames, nel 2004 produceva solo una serie di inoffensivi ed estremamente irritanti chuga-chuga che non andavano da nessuna parte. Il mischione di generi contenuto nel disco non giova a nessuno, troppe cose e senza nessun focus. Anche a 20 anni di distanza tutto quell’alternative, quei chuga-chuga ritmici, l’industrial rock, le tastiere non fanno altro che distrarre e, al contempo, mostrare a tutti che tutto il disco è una meringa d’aria. Le canzoni sono polistirolo (una Touch of Red è imbarazzante) e l’unico che svetta è lui, il prode Anders Fridén. E non è un complimento, visto che nel 2004 aveva perso ormai da anni ed anni lo screaming e il pulito non era proprio uno dei suoi assi nella manica. Il raglio finale che ne esce è semplicemente imbarazzante, potenzialmente buono per giovanotti abituati a certe porcherie da classifica, mezzi emo che tentavano il passo verso la musica dura e non so chi altro. Questo è un prodotto buono per il pubblico del Nova Rock e dei festival generici, dove la qualità non è apprezzata e la musica è solo il sottofondo di una grande sbornia collettiva.
Per evitare di fare una recensione a memoria, con tutto il fiele che ne deriva, sto riascoltando il disco in questo esatto momento. Rinfresco le idee, provo a guardare Soundtrack to your Escape con gli occhi di un quarantenne ormai pacificato con la fine che gli In Flames hanno fatto. Giudico in maniera propositivo. Ma niente, anche adesso penso che il settimo disco di quella che era una Signora Band, è semplicemente schifoso. Mi rasserena l’anima sapere che almeno Come Clarity è uscito vagamente meglio, ma fare peggio di Soundtrack to your Escape è operazione che riuscirà agli In Flames solo nel decennio fra il 2010 e il 2020. Dovete solo aspettare 6 anni e poi incominciamo a dire veramente quello che pensiamo delle prime porcherie uscite post-uscita di Strömblad dalla band.
[Zeus]