Homecoming. Iron Monkey – Spleen & Goad (2024)

Gli Iron Monkey, per me, sono come l’Homecoming nel football universitario americano. Per chi non conoscesse questa pratica, prendo la prima voce di Google: Homecoming is a school-spirit tradition in many American high schools that combines sports, school spirit, and social activities into a week-long celebration culminating in a football game and dance. In soldoni, i vecchi alunni ritornano “a casa” e festeggiano insieme alle matricole e agli studenti in corso. In America è spesso associato ad un qualsiasi sport, quindi l’Homecoming diventa un evento enorme in cui i “vecchi” vengono trattati quasi come divi e si celebra il college/università e lo sport. Una sorta di riunione di classe, solo con molto più caos. Molto più caos. Però è una sensazione, quel periodo dell’anno che tutti aspettano per ritornare a vedere gli altri alunni, rivedere i professori e/o calcare di nuovo il rettangolo di gioco con i vecchi compagni di squadra (uguale che sport sia). Io le odio le riunioni di classe, ma il sentimento di ritorno a casa festeggiato e celebrato è anche interessante.
Per me gli Iron Monkey sono questo, il ritorno dei vecchi alunni, acclamati, ricordati nelle leggende dei più grandi e, se vogliamo mettere un po’ di epica in questo scritto, trattati come semidei dai poveri mortali. Nel periodo compreso il 1997 e il 2002, anno della morte dello storico frontman Johnny Morrow, la band inglese era semplicemente enorme, almeno per me. Il debutto era un disco da esaltare, il suo seguito (Our Problem) è semplicemente perfetto e se vi siete persi l’EP We’ve Learned Nothing peste vi colga. Un trittico semplicemente perfetto. Poi la morte, il lutto e il silenzio fino alla reunion e il ritorno in campo con 9-13 del 2017, bello ma non bellissimo. Anche perchè raggiungere il mito è difficile e a volare troppo in alto poi ci si bruciano le penne; per delucidazioni chiedere a Icaro. Gli Iron Monkey 2.0 lasciano stemperare all’aperto la carcassa e imputridire ancora di più i riff per fornire, a sette anni di distanza, il successore di 9-13. La formazione è per 2/3 la stessa, solo Brigga (batteria) viene sostituito dall’ex Widows Ze Big, il cui lavoro è buono ma non posso certo metterlo dentro i primi 10 batteristi del secolo. Potrei descriverlo come funzionale il suo modo di suonare e, per la prima volta, non è neanche un insulto, visto che fa quello che deve fare e lo fa senza pisciare fuori dal vaso. Jim Rushby si occupa ancora di chitarra e mette il suo growl canino al servizio degli Iron Monkey (come era successo nel 2017) e Dean va sulla seconda chitarra. Il basso non viene nominato (ma c’è, si senta Off Switch), ma non per questo il muro di suono viene meno. Anzi, la potenza che ne esce da Spleen & Goad è l’equivalente di un autoarticolato che cerca di investirti, con riff Sabbathiani misti hardcore e una virulenza così manisfesta da essere contagiosa come la peste suina. Il problema è che Spleen & Goad inizia fortissimo, picchiando duro con il duo Misanthropizer e Concrete Shock ma poi, pur non andando mai nel brutto, sembra concentrarsi ossessivamente sul binomio muro sonoro + violenza e meno sul fornire più emozioni. Cosa che gli LP del biennio ’97-’98 facevano senza problemi. Pesanti sì, ma capaci di allargare il gioco anche sui ricevitori esterni e non tentando il tutto per tutto solo con il gioco di corsa e sfondamento (questo per rimanere in ambito football americano). Spleen & Goad è piombo puro, ma invita all’ascolto con meno efficacia rispetto ad Our Problem. Soffre di qualche calo fisiologico, ad es. la lunga Off Switch. Questa è buona e da proprio l’immagine di un tizio sovrappeso che si muove al tuo inseguimento trascinando un’ascia sul pavimento sporco, ma 7 minuti e mezzo sono realmente tanti. Il riff di The Gurges richiama un po’ quello di Disturbing the Priest dei Black Sabbath e ti assale l’angoscia visto che lo reiterano fino allo sfinimento, ma anche qua i 7 minuti abbondanti sono realmente lunghi da digerire per troppe volte di seguito.
Non mancano le accelerazioni, quei momenti tipicamente Iron Monkey che piacciono e in cui sento, e ricordo, il sapore del vomito dopo una bevuta oscena. Non è un ricordo piacevole, ma quanto eri un Dio la sera prima? Quindi, in fin dei conti, son ricordi belli.
Nel 2024 gli Iron Monkey cercano di ritornare un po’ indietro con il suono (la già citata Misanthropizer è forse quella che più di tutte fa nostalgia, forse anche perchè Jim usa un timbro leggermente diverso), ma è un prodotto nuovo e testardamente guarda avanti nel tentativo di definire chiaramente: noi siamo gli Iron Monkey, lo eravamo e lo saremo. Solo che adesso sono altro, fisiologicamente altro e Spleen & Goad, temo, sarà uno di quei dischi che ascolterò per la recensione e forse un paio di volte l’anno per poi metterlo a prendere polvere e guardare usurare quegli LP degli Iron Monkey che, anche a oltre 20 anni di distanza, sono realmente Homecoming. E sono realmente dei semidei.
[Zeus]