Hanno smesso di spaventare. Slipknot – Vol. 3 (The Subliminal Verses) [2004]

Nel 2004 gli Slipknot avevano già smesso di avere quella propulsione “schizoide” che li aveva contraddistinti nei primi due dischi. L’esordio, pur non essendo mai stato uno dei miei dischi preferiti o negli ascolti religiosi, è comunquei un LP che dentro ha qualcosa. E anche il più puro dei metallari, se onesto con sè stesso e con gli altri, sa che è così. Iowa era il disco che segnava il momento di crescita nel mondo dei grandi completandolo con alcuni titoli di merda, ma dentro i pezzi erano caricati a tritolo.
Direte voi, allora Vol.3 cosa è in realtà? Parere personale, di certo non supportato dalla fanbase, ma il terzo disco rappresenta il suono di una band che si appresta ad incassare tutto e lasciare sul piatto il cadavere della band che era. Come il serpente che cambia pelle.
Fra Vol.3 e Slipknot ci passa una vita e mezza. Gli Slipknot sanno che pisciare troppo fuori dal vaso non porta bene, quindi caricano ancora con i watt, ma il death ormai si sente e l’elettronica aiuta a supportare tutto. Il fatto è che nel 2004 quell’attitudine del passato non è saggia, diciamo che ormai non è più aria.
Tolte le difficoltà nella registrazione e l’alcolismo di Taylor, Vol. 3 ha un suono addomesticato, perchè quello tira e che ti trasporta in alto nelle classifiche, riempie gli stadi di un pubblico trasversale e, se tutto va bene, porta un po’ di royalties nelle tasche.
Se prima facevano paura, adesso ai concerti degli Slipknot arrivano “tutti”; da quelli che si esaltavano vedendo questi tizi dello Iowa cercare la rissa, quelli che si sono approcciato con Iowa e poi la nuova ondata di metallari che, arrivati al sacro mondo del metallo con il nu-metal o il metal melodico, hanno incominciato a masticare pelle, spuntoni e watt con una delle ultime hit metal (Duality) o con The Blister Exists. E poi l’esperienza extra-curriculare (Stone Sour) ha fatto vedere un mondo più ampio, più variegato, in cui il pubblico potrebbe non essere attratto solo dagli sputi e dalle badilate nei denti, ma anche con più melodia (Vermilio, Pt.2). FIguriamoci se non ci sono quelli che aspettano solo questi momenti per abbracciare la propria metà e condividere il momento metal.
Gli Slipknot dovevano cambiare, avevano capito che l’aria che tirava era quella del rinnovamento e che il passato non poteva durare. Per sopravvivere dovevano evolversi.
Guardatevi gli ascolti su Spotify di Vol. 3. I picchi sono su Duality, Before I Forget e Vermilion, Pt.2. Erano i singoli, certo, ma quella era la direzione che dovevano prendere. Persino l’inno al proprio pubblico (i fantomatici maggots) non raggiunge cifre stratosferiche per un LP come questo e si ferma ad una cosa come 57 milioni di ascolti (Duality ne mette 730 milioni sul contachilometri, giusto per farvi capire la scala).
Da un punto compositivo, Vol. 3 è un netto passo indietro rispetto a quanto avevano scritto prima, ma in termini di apporto alla causa metal, di certo ha fatto un grande favore ai neofiti del metal. Gli Slipknot avevano le stigmati dei predestinati, quelli che avrebbero retto la baracca finchè i grandi vecchi non si sarebbe svegliati e avrebbe tentato di tirar fuori o cose geriatrico/giovaniliste o messo in riga la gioventù suonando dischi con la mano sinistra. Gli Slipknot erano pronti a prendersi quello che gli spettava di diritto, quel posto al sole che le band grandi, quelle degli eighties già avevano assaggiato, solo che lo stavano facendo con un disco più debole musicalmente, ma molto ben calcolato.
[Zeus]

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