Il mio ultimo disco dei QOTSA – Song for the Deaf (2002)

Faccio parte di quella stregua di vecchi tromboni che, senza neanche arrossire, affermano che l’ultimo disco dei Queens of the Stone Age che hanno mai ascoltato è stato Songs for the Deaf. Ebbene sì, il successivo Lullabies to Paralyze non me lo ricordo e via dicendo con gli altri, proprio per niente. Non riescono a restarmi in testa e il singolo visto su Youtube non aiuta di certo il mio interesseo. Potenza delle preview, visto che in un tempo passato avrei acquistato un disco di Homme e soci senza neanche pensarci troppo. Vogliamo mettere l’esordio o Rated R con quanto uscito post-2002? Non scherziamo. Ecco perché ho salutato il treno Queens of the Stone Age e mi son diretto verso altri lidi, preferendo ascoltarmi il tentativo degli Unida del 1999 rispetto a tutto quanto Homme avrebbe mai prodotto successivamente. Su SFTD c’era il perfetto allineamento dei pianeti, facendo sì che Dave Grohl si prendesse una pausa dai Foo Fighters e si decidesse a tornare a tirar saracche dietro la batteria e Mark Lanegan fosse disponibile, visto che la vita sulla strada e in preda agli spasmi dell’eroina non era proprio divertente e redditizia (e poi Homme gli era anche grato, visto che nel tempo che fu Lanegan l’aveva ospitato negli Screaming Trees). E poi il duo Olivieri – Homme è sempre un piacere da sentire, visto che, in un modo strano, riescono a stemperare a vicenda l’ego enorme che si portano appresso. L’equilibrio permette ad Olivieri di far filtrare il suo animo cazzaro, cocainomane e punk e ad Homme di tirar fuori il songwriting definitivo per i QOTSA. Perché, cari miei, da qua in avanti le idee son diventate sempre più sottili. Forse sbaglio io, sia chiaro, ma il mio parere vale quanto quello del primo stronzo che si dichiara conoscitore assoluto della musica.
Detto questo, Songs for the Deaf è il culmine artistico della band, forse mai come nel 2002 realmente sul pezzo. I QOTSA costruiscono canzoni che arrivano tanto dritte al punto e facilmente ricordabili, quanto ancora con quella sensazione di genuinità. Si sente l’odore delle jam (Desert) sessions, delle notti sbronze al chiaro di luna, la droga e la creatività. Homme ruba senza problemi nelle Desert Sessions, ma lo fa con arguzia e competenza, scegliendo bene e scegliendo il meglio, sia in termini di riff, sia per quanto riguarda la formazione.
Songs for the Deaf è stato un “regalo” inaspettato, visto che all’epoca scaricare un brano tramite Gnutella, o chissà quale porcheria di peer-to-peer si usava all’epoca, era paragonabile ad una maratona sfiancante. E metà delle volte aveva una qualità sonora che ti faceva venire il mal di mare, se non era un virus o un video porno. Quindi di corsa dal mio negoziante di fiducia, che mi aspettava col machete in mano visto che ormai l’Euro era arrivato a portare povertà assoluta nelle mie tasche, e poi via ad imparare a memoria quanto c’era su quel CD tutto rosso.
Per moltissimi anni questo è stato il mio disco preferito della band, cercato più di Rated R e voluto più del disco omonimo, ma nel giro di 20 anni anche Songs for the Deaf è diventato “solo” il disco da cui prendo canzoni per le compilation di Spotify. Triste, lo so, perchè meriterebbe di più di essere cannibalizzarto per i party alcolici; ma poi, scusate, se non è corretto utilizzare un disco strafatto come quello dei Queens of the Stone Age nei party ad alto contenuto alcolico, allora per cosa?
Potere di un disco come Songs for the Deaf. Zeppo di canzoni rock assolute, praticamente tutte ottime anche quando sembrano dei filler, e talmente ben fatto che in vent’anni non è invecchiato di un minuto.
[Zeus]

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