Il nuovo album degli In Flames. Interessante, ma non bellissimo. Ecco a voi: Foregone (2023)

Recensire un disco degli In Flames è operazione difficile, soprattutto considerando che, come in tutte le telenovelas che non portano da nessuna parte, io ho ancora la speranza che possano rinsavire e tornare a creare qualcosa di emozionante e con anima come hanno fatto fino a Whoracle. A vent’anni di distanza dal grande cambio di rotta, Fridén e Gelotte, gli unici componenti storici rimasti al comando delle operazioni, si devono essere guardati uno con l’altro e domandati se gli In Flames dovessero realmente essere ricordati per le schifezze partorite a nome Battles e I, The Mask. La risposta deve essere stata abbastanza lampante, tanto da spingere il magnifico duo a “reinventare nuovamente il suono della band” per tentare di rimanere in piedi e non cadere nella facile trappola della “dimenticanza”. Il risultato è Foregone, 14simo disco in studio che, pur portandosi appresso una serie di zoppie e difetti, in realtà non è un brutto disco. Capolavoro non lo è, ma è decisamente un livello superiore a quanto apparso nella loro discografia da Come Clarity? Ecco, forse da quel disco, l’unico LP di Fridén e soci che, post-2000, mi dica realmente qualcosa.
Lo dico subito, Foregone non è brutto da cavarsi i denti, per quanto i titoli entusiastici di ritorno al melodic death metal siano senza dubbio fuori luogo e fuorvianti. Vista la difficoltà oggettiva di capire cosa sono e cosa tentano di fare gli In Flames nel 2023, mi sono rivolto a due colleghi e, quanto appare in seguito, è la versione in prosa di uno scambio di pensieri. Inizio quindi una sorta di Operazione Frankenstein.
Il ritorno a pompare un po’ di metal in Forgone non è cosa su cui mi lamento, sempre meglio delle cose pessime sentite negli anni precedenti, però c’è un fattore che mette in cattiva luce tutto. A forza di essersi messi in un limbo fra ispiratori e copiatori, gli In Flames si sono trovati, nel 2023, nella scomodissima posizione di essere sotto la lente d’ingrandimento anche quando tentano di prendere spunto dal proprio passato e, causa serie infinita di copie in ambito deathcore/metalcore, anche quanto prodotto adesso dagli In Flames sembra essere copia di quanto c’è negli USA e non l’inverso.
Eggià, il melodeath di marca In Flames. Sarà ritornato? O è un fuoco di paglia? Non lasciatevi fuorviare o influenzare, perchè in realtà Gelotte & Co. non arrivano a pescare al di là degli anni 2000, accennando solo a certe melodie folk da Lunar Strain e, forse forse, alcuni momenti che puzzano di Whoracle. Però non possono esimersi dal metterci dentro anche parecchie canzoni da radio rock, tipo Virgin Radio. Una sorta di malcelata schizofrenia. Quindi cosa hanno tentato di fare? Un tentativo di guardare indietro per andare avanti o semplicemente rivangare il passato? Essere come i Dark Tranquillity che pescano nella propria discografia per produrre il disco successivo o vogliono essere qualcosa di unico? Se vuoi essere nostalgico devi farlo puntando tutto su un certo mood, come hanno fatto i The Halo Effect, se no devi capire che il tuo posto è altro. Ecco perchè sa di disco-paraculo, pur elevandosi rispetto al passato recente. Regge in molti episodi, prima di accartocciarsi su sè stesso con un paio di mid-tempo di troppo sul finire del disco. Ma il pubblico, il loro pubblico, ormai vuole questo suono dalla band, a girare troppo a babordo il rischio di tagliarsi il regal augello da soli è elevantissimo. Il gioco non vale la candela e, almeno, in questo momento il riferimento sonoro è di una categoria migliore di quanto fatto con Battles.
Al che si apre una nuova quest. Ma chi è il pubblico degli In Flames? A furia di voler accontentare tutti, chi accontenti in realtà? A vedere i numeri e il suppporto della Nuclear Blast, il pubblico è in aumento e combattivo, però si dirige verso quella sorta di generazione che del metal vuole solo una parte e non tutto il pacchetto comprensivo di porcherie e luridume. E cavalcare questa tigre porta ad inevitabili usi e abusi di tastiere, assoli accenati e non sviluppati (o asettici) e l’utilizzo di una batteria talmente triggerata da farmi uscire di senno. E non commento Fridén, che passato sotto il machete di Benson ha sviluppato tonalità talmente false da essere irriconoscibile, con momenti in cui il produttore lo pompa di effetti tanto da stordire il malcapitato ascoltatore e quando tira sul growl, in realtà usa il classico bleargh USA (il growl di matrice deathcore americana) che con gli In Flames ci sta poco e male. Sembra tutto troppo falso e radiofonico per il vero pubblico metal e troppo pesante per platee più commerciali. Quindi chi è, in realtà, il loro target? Un primo pensiero va a quello del Nova Rock, allo Sziget e via dicendo. I festival dove c’è di tutto, dove si mischiano cani e porci per tirar su gente, in cui il gusto è passeggero e il fan è indistinguibile dalla massa di gente che è là perchè è un evento a cui devi assistere. Non perché ti piace, ma perchè il tipo col cappellino giusto e il tatuaggio tribale che ti piace ci va o la tipa che ti sorride in caffetteria dell’Università ha detto che ci va con le amiche “per ascoltare musica” e il cui scopo primo e ultimo è quelllo di stordirsi di PCP fino a crollare nel proprio vomito. Un pubblico generalista, che rischia di essere volatile. Rischio che, immagino, gli In Flames siano consci di correre.

Ed è su questa tagliente lama che si muovono Gelotte e Fridén in Foregone. Disco che è piacevole da sentire, con dentro anche alcuni momenti che potrei anche considerare di risentire post-recensione e non dimenticarli vergognandomi di averli analizzati per giorni interi e in cui le ballad (Pure Light Of Mind) sono meno stantie di certe porcherie apparse qualche anno fa. Non è un ritorno, non è un capolavoro, ma Forgone sembra aprire la famosa terza porta agli In Flames. Quella del recupero delle sonorità del periodo di mezzo, un’operazione nostalagia/recupero/rimodulazione per poter proseguire senza scontentare nessuno, con un colpo al cerchio e uno alla botte. Ma cautelandosi di non essere così revivalisti come fanno i Paradise Lost da molti anni a questa parte, ma prendendo spunto ed esempio dai propri conterranei Dark Tranquillity, con la notevole differenza e l’aggravante di essersi dati la zappa sui piedi oltre 20 anni fa e aver dato sberle ai propri fan per tutto questo tempo.
[Zeus & Lord Baffon II]