Sing thou unholy servants. Sulphur Aeon – Seven Crown and Seven Seals (2023)

Stavo aspettando il nuovo dei Sulphur Aeon con impazienza, lo spezzafame dato dal disco live non è che mi abbia saziato più di tanto, soprattutto se tengo conto che son passati 5 anni dal precedente The Scythe of Cosmic Chaos. Disco che, fra l’altro, avevo apprezzato, e anche tanto. Il fatto è che dopo tre dischi di una formazione in stato di grazia, c’è sempre il rischio di ritrovarsi fra le mani la patata bollente e dover recensire un disco che sa di mäh. Invece Seven Crown and Seven Seals è un disco degno di Azathoth e non ci sono cadute di tono neanche a volerle cercare. Se vogliamo fare le pulci, il quarto LP della formazione tedesca è forse un filino inferiore a Gateway to the Antisphere, ma è solo un filo sottilissimo ed è comprensibile, visto che quello era un LP che spezzava senza pietà le reni.
Il fatto è che i Sulphur Aeon hanno cambiato leggermente approccio, pur mantenendo coerenza e onestà d’invocazione dei Grandi Antichi. C’è il death metal, ci sono le grandeur epiche, ci sono anche i retaggi black metal, ma c’è forse una maggiore attenzione all’aspetto del cantato pulito/ieratico (i soci della compagine Slowtorch sono arrivati ad accostarle a quelle del compianto Warrel Dane – cosa che non mi trova contrario, anzi…), nonché un approccio musicale che ingloba sfumature rock/psichedeliche (le chitarre con effetti e delay che anticipano la parte in clean della title-track, per un breve istante, mi hanno ricordato il lavoro dei Wormwood). The Yearning Abyss Devours Us riesce a mischiare tutto senza paura, tanto che l’evocazione in clean che segna uno stacco drammatico all’interno del mood della canzone, non stona minimamente, ma fa risaltare il death metal che scende a pioggia nella seconda parte.
Non ho attualmente una favorita assoluta, anche se negli ultimi giorni la title-track si sta aggiudicando la palma del brano con l’intro più da devasto di tutto il disco. Ha il riff e ha la batteria che ne fa da sparring partner, restare fermi mentre la tensione monta è praticamente impossibile e vi ritroverete con il cuore gonfio di gioia blasfema e la nuca dolorante per (in)volontario headbanging. Per composizioni che non scendono sotto i 5 minuti e mezzo (la sola Arcane Cambrian Sorcery dura poco meno di 6 minuti), le canzoni respirano, anzi oserei dire pulsano, senza problemi. Su Seven Crowns and Seven Seals non ci sono cali di tensione, di ritmo, momenti in cui mi verrebbe da sforbiciare tanto che la canzone proseguirebbe senza problemi; l’intro Sombre Tidings dura poco e non fa danni, visto che confluisce in Hammer from the Howling Void e “inizia il rituale”.
Poi tutto finisce con Beneath the Ziqqurats, che ve lo dico a fare.
[Zeus]