Rotting Christ – Pro Xristou (2024)

La prima domanda che tutti i metallari si sono posti quando è uscito Pro Xristou dei Rotting Christ è stato: cosa mi aspetterà questa volta? The Heretics non è un capolavoro, anzi è il capitolo più debole della lunga discografia dei blackster greci, e il declino compositivo di Sakis e compagni è evidente da ormai diversi dischi. Nemmeno le uscite soliste hanno rinfrescato l’animo del mainman greco, lasciandolo sì giocare con le sonorità anni della metà dei ’90 dei Rotting Christ (questa sì una novità), ma non producendo niente che faccia gridare al capolavoro.
Allora cosa ci si può aspettare da una band da 35 anni sulla piazza e con 14 album sul groppone? Soprattutto visto che il black metal ellenico classico non sembra più essere una priorità da molti dischi, soppiantato da una ricerca di una sonorità più tribale, più percussiva, oscura, melodica e con l’utilizzo abbondante di parti recitate e strutture simili ad atti di un’opera teatrale.
I singoli avevano dato un’idea di quello che poteva essere il 15° disco in studio, ma dove Like Father, Like Son era lunghetta ma almeno discreta, Saorsie era solo pesante. Per me: 1-1 e palla al centro.
In realtà Pro Xristou è una sorta di album centrifuga, dove Sakis prende sonorità dalla fase gotica e le mischia con l’accento tribal-folk degli album da Κατά τον δαίμονα του εαυτού in poi tirandone fuori un prodotto moderno, spesso giocato su mid-tempo melodici, epici e strutturati tutti su uno stesso canovaccio compositivo. La formula vale, con i dovuti distinguo, per tutti 9 brani (l’intro Pro Xristou è francamente inutile).
Visto che Sakis sta attraversando da molto tempo una fiacca compositiva che non sembra riuscire a scrollarsi di dosso, le mie aspettative erano realmente basse. Troppi concerti, troppi tour e troppa musica messa sul mercato, anche un maniaco della musica come il greco non può fisicamente tenere questo ritmo senza colpo ferire. E The Heretics era la ferita, un LP sgonfio. Per nostra fortuna Pro Xristou non è The Heretics 2, e pur non facendo niente per farmi balzare dalla sedia, almeno si pone nella categoria dei dischi carucci che ascolti in sottofondo, ma che con l’orecchio non vuoi comunque perdere perchè, signore e signori, stiamo parlando dei Rotting Christ e qualche riff o melodia la azzeccano sempre.
Il problema base è che su Pro Xristou, ci sono anche delle idee, ma non decollano mai. La prima metà del disco presenta una serie di brani che montano l’epicità e fanno salire “la cagna“, ma poi non esplodono mai. Hanno il chorus epico, ma non fomenta. Hanno il passaggio di chitarra, ma non ti fa bruciare il collo. Mi danno l’impressione di un innesco di dinamite che brucia e brucia ma poi fa semplicemente puff.
La differenza fra la prima parte e la seconda è come Sakis usa i rimandi, le (auto-)citazioni e le mescolanze di “nuovo-vecchio”. Guardate come tratta The Apostate, percussiva ma sinceramente ridicola come composizione, o The Sixth Day, che non è altro che una nuova versione di My Salvation. Lascio stare il cringe dell’italiano maccheronico de La Lettera del Diavolo che fa accapponare la pelle.
Il flebile cambio di marcia arriva con The Farewell, prima canzone che sembra dire qualcosa in più sui Rotting Christ del 2024, il suono lo conosci e lo potresti incasellare nel passato ma almeno il pezzo non lo butti via e così anche la melodica Pix Lax Dax (non gli perdono il chorus esattamente uguale a The Apostate) e la belligerante Pretty World, Pretty Dies (tutto del pezzo fa Aealo: la batteria a marcetta, i chorus… mancano solo gli uh-ah che erano tutto su quel CD). L’epica Yggdrasil, è forse il pezzo migliore del disco. Una canzone che finalmente è capace di gridare Rotting Christ annate 2010-2013 con vista moderna.
Alla domanda, perchè Sakis continua a proporre dischi che è difficile promuovere a pieni voti visto che sono spesso senza grosse idee o sfruttate male/allo sfinimento? Il potente Lord Baffon II, collaboratore di TMI, mi ha dato la sua visione e mi sembra abbastanza corretta. Sakis ha ormai 50 anni e reinventarsi, ormai, non può farlo. Sa che ha uno status di culto, ma non vende come una band norvegese qualunque. Quindi per campare deve sottostare alla routine disco-tour-disco-tour commemorativo. E sa benissimo che le vere entrate non derivano dalla voce “disco” e quindi si impegna lo stretto necessario per fare uscire un prodotto sufficiente.
E Pro Xristou è un disco sufficiente. Meglio di The Heretics, ok, ma pur sempre un lussuoso disco da sottofondo. Ha una prima parte loffia e una seconda con qualche colpo di coda, ma sono lontani parenti dalle esaltazioni del passato.
I Rotting Christ stanno diventando vecchi. Forse è semplicemente questo e, nell’ottica dei greci, Pro Xristou e questa new wave del suono della band non è altro che l’entrata a piedi uniti nella maturità e nell’accettazione che la rabbia non c’è più.
[Zeus]

Sakis Tolis – Among the Fires of Hell (2022)

Voglio essere totalmente sincero e fanculo all’obbiettività della recensione. I primi due singoli del disco solista di Sakis Tolis mi avevano messo una discreta depressione, due pezzi che non erano altro che B-side mai uscite degli ultimi due dischi dei Rotting Christ e Ad Astra che, ancora oggi, è fra le tre la “migliore” e diciamo già tutto. L’attesa del debutto da “solista”, le virgolette ci stanno perché tanto che differenza fa un disco solista di Sakis ed uno dei Rotting Christ dove lo stesso Sakis scrive comunque tutto?, mi ha lasciato particolarmente perplesso e dubbioso su quanto aspettarmi.
Lo so da un bel po’ di tempo che Sakis non ha più la grandissima ispirazione di un tempo e sempre più spesso pesca nella propria discografia per riempire buchi e riff mancanti, ma questo non ha mai stoppato il mio amore verso i Rotting Christ, pur riconoscendogli una difficoltà crescente nel proporre qualcosa di eccitante da 5/6 anni a questa parte – infatti Rituals era ancora un disco molto interessante.
In edizione solista, questa operazione CtrlC+CtrlV è ancora più accentuata, lasciando pochissime chance di trovare riff nuovi, idee nuove e/o un LP da definire bello o duraturo. La tanto declamata virata verso “il periodo gothic” dei Rotting Christ è operazione che trae in inganno, visto che quanto esce fuori da Among the Fires of Hell è solo disco piatto, con dentro sì richiami più che logici ai Rotting Christ (We the Fallen Angels piglia il riff di The Sons of Hell B-side di The Heretics, idem dicasi per The Dawn of the New Age e la lista non finisce qua), ma mancano tutte della capacità di a) tirarsi via la sensazione di essere uno scarto della band principale e b) emergere dalla media di un LP in fin dei conti poco interessante.
Guardate l’ironia di Nocturnal Hecate, cover dei greci Daemonia Nymphe. Il pezzo è interpretato con la stessa ritualistica cadenza di Χ ξ ς’ (666) presente su Κατά τον δαίμονα εαυτού del 2013. Il fatto imbarazzante è che allora è la stessa 666 ad essere un mezzo plagio dei Daemonia Nymphe, senza nessuna nota di merito. La questione è sinceramente intricata.
Il problema è che tutto il disco ti lascia questa sensazione di già sentito, forse con l’esclusione di Live with Passion (Die with Honour), canzone che comunque procede uguale a sé stessa per tutti i 5 minuti prima di avere un piccolo highlight nel semplice solo melodico.
Al che mi chiedo, ma c’era realmente bisogno di Among the Fires of Hell? Intendiamoci, il mainman greco è ancora capace di farti scapocciare qua e là con quel mezzo riff rubacchiato/riciclato/suonato con la mano sinistra e il rispetto che si porta appresso è ancora immutato, ma non era meglio concentrarsi un po’ di più sull’evitare che il prossimo parto dei Rotting Christ sia una versione annacquata di The Heretics? O, in alternativa, non sarebbe stato meglio comporre come band, così da dividere l’onere (e l’onore) di ideare riff, melodie e tutto il resto?
Lo scambio di idee avrebbe forse, e dico forse, aiutato ad evitare quella pericolosa sensazione di stagnazione da cui, ormai, Sakis Tolis non riesce ad emergere.
Mi dispiace dirlo, perché è sempre un tormento doversi rendere artefici di una recensione in cui si stronca un disco di un artista che apprezzi molto, ma Among the Fires of Hell è francamente un disco debolissimo, per molti aspetti quasi inutile nel voler apparire diverso da quello che è: una mera antologia di brani di seconda/terza schiera dei Rotting Christ. Molti lo definirebbero inutile, per me è solo inconcludente, un’occasione persa, visto che dopo due ascolti ho capito il tenore del disco e non mi è venuta moltissima voglia di schiacciare play a ripetizione.
Comunque tanto rispetto per Sakis per averlo messo a disposizione gratis sulle piattaforme online. Non è da tutti e certi gesti li voglio premiare e sottolineare.
[Zeus]